IL MAESTRO DEL BISSO

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Entrano nella stanza e salutano timidamente, quasi spaventati, interrogandosi sul cartello in bella mostra all’ingresso del locale: “In questo posto non si compra e non si vende niente”. Nell’ accettare l’invito a sedersi, mostrano una certa esitazione che lascia, in brevissimo tempo, il posto allo stupore.
La stessa scena, con minime varianti, avviene varie volte nel corso della giornata presso la stanza da lavoro del Maestro Chiara Vigo.

Ultima detentrice del titolo di maestro del bisso, continua imperterrita a praticare e mostrare la sua arte nella nativa isola di Sant’Antioco, nella quale è nata nel 1955. La sua carriera inizia prestissimo, fin dall’età 4 anni e dai 12 è intenta al telaio, finché non viene ritenuta pronta ad iniziare il suo percorso di formazione come Maestro da sua nonna, nonché precedente detentrice del titolo, Leonilde Mereu.
Il bisso, che si ricava dalla Pinna Nobilis, bivalve endemico del Mar Mediterraneo, è una fibra tessile la cui storia ha inizio in tempi che potremmo definire, senza esagerare, mitici.
“Viene citato in più di trenta passaggi della Bibbia” afferma spesso il maestro mentre ne spiega le caratteristiche ai visitatori. La Vigo ha dedicato anni allo studio di questo particolare animale e alla sua salvaguardia, spesso affiancata da studiosi dell’Università di Cagliari e ha diretto intorno alle 29 tesi di laurea sull’argomento. Proprio questa sua premura la rende irremovibile nei confronti di una possibile commercializzazione del tessuto. Oltre alle motivazioni morali, legate al suo ruolo di Maestro, per le quali questo materiale non appartiene a nessuno, ma è eredità delle future generazioni, adduce stime decisamente più pratiche. La tragica riduzione degli esemplari di pinna nobilis negli anni ha portato ad una stima di raccolto annuale di materiale tale che consentirebbe la filatura di misure decisamente irrisorie rispetto alle quantità richieste per la realizzazione di qualsiasi manufatto.

La grave situazione nella quale versa la pinna non le impedisce di continuare nella sua attività, dal momento che possiede per eredità bisso risalente addirittura alla fine del XIX° secolo. L’arte, trasmessa esclusivamente per via orale diretta, vive infatti nella sua famiglia da almeno 28 generazioni. Is bregus, l’insieme di conoscenze e rituali che caratterizzano la maestranza viaggiano quindi da secoli di nonna in nipote, con un enorme bagaglio di formule, tecniche, disegni e preghiere. La presenza di Leonilde Mereu ritorna continuamente nelle parole e nei gesti del Maestro che pur non rivelando nulla del suo percorso di formazione sotto la nonna, non si astiene mai dal citarla con evidente affetto. Alla domanda su una possibile erede, cita la nipote Alessia, della quale racconta in varie occasioni divertenti aneddoti che offrono il ritratto di una bambina estremamente intelligente e già in sintonia con il particolare mondo della nonna.

Nonostante nessuno resti impassibile davanti all’arte ed alle parole del Maestro, sono proprio i bambini a rimanere incantati dalla magia del filo dell’acqua. Una volta seduti, ammirano a bocca aperte gli intrecci del telaio e la filatura del bisso, si lasciano cullare dalla sua voce, che passa spesso dal racconto alla canzone (producendosi volentieri in una lenta interpretazione di “Nanneddu meu” e nella sempre splendida “No potho reposare”). Zia Chiara, come si fa chiamare dai più piccoli, è evidentemente una grande amante dei bambini e invita loro a scrivere delle lettere, richiedendo che confezioni e doni uno dei suoi pezzi per le loro città di origine. “Tutto questo non è né mio, né vostro. È dei nostri figli, dei nostri nipoti delle generazioni future”.
Le sue creazioni, donate personalmente, sono sparse per il mondo, da Roma a Basilea, dal rosario di Benedetto XVI alla stola di Giovanni Paolo II e numerosi sono i riconoscimenti che ha ricevuto durante la sua carriera, tra i quali il titolo di Commendatore della Repubblica ricevuto nel 2008.

Seduta al tavolo di lavoro, illustra brevemente il paziente lavoro nascosto dietro ognuno dei suoi manufatti, alcuni dei quali fanno bella mostra di sé sulla parete della stanza. “Voi vedete solo la fine, ma per apprezzare veramente, è necessario vedere tutto lo svolgimento”. Il materiale grezzo, che altro non è che il filamento cheratinoso prodotto dalla pinna, viene inizialmente pulito e dopo trasformato in filo mediante l’uso del fuso. Durante questa operazione, nella quale il Maestro dimostra il suo virtuosismo creando fili dello stesso calibro senza utilizzare ulteriori strumenti, la manualità si unisce alla spiritualità. Intenta all’opera infatti, si produce in una nenia antica, che rimanda ad una Sardegna che non esiste più ed ai suoi collegamenti con il mondo semitico.
Si sposta quindi al telaio, nel quale intreccia, oltre al bisso, chiamato anche seta di mare, la più conosciuta seta terrena.
Il bellissimo strumento, eredità famigliare risalente alla bisnonna di sua bisnonna, è ancora originale in molte sue parti nonostante le ovvie opere di manutenzione susseguitesi negli anni. La quantità di filato richiesta per un arazzo, intrecciato con le unghie, è spesso superiore ai 200 metri, per un lavoro che può durare anche dieci anni. Un altro cartello all’ingresso premette giustamente “La fretta non abita qui”.

Mentre gli occhi di tutti osservano la precisione dell’intreccio creato dalle unghie e si sorprendono della forza che dimostra nel tirare a sé il pettine per bloccare il disegno, il Maestro continua ad offrire degli scorci sulle conoscenze apprese durante il suo percorso. È erede della conoscenza di più di 140 disegni, radicati nella storia della sua arte e ricorda a memoria le formule di circa 120 tinture, tutte appartenenti alla sua tradizione familiare e tutte inderogabilmente ad essa fedeli, create esclusivamente mediante l’ausilio di prodotti naturali. Anche nella descrizione della loro preparazione, si evince il grandissimo amore per la natura ed il suo equilibrio che la caratterizza. Nel descrivere la creazione della tintura del famoso rosso porpora ad esempio, spiega come il murex, il mollusco dal quale si ricava questo pregiato colore, non vada ucciso nel processo – il risultante prodotto così ottenuto, assicura, sarebbe anche nettamente inferiore – ma bensì fatto strisciare, in modo che rilasci la sua secrezione e possa successivamente essere liberato in mare.
Il bisso viene tinto attraverso un processo a freddo ed il Maestro esegue solo quattro colorazioni, sempre nel rispetto della storia di questa antichissima arte. Oltre alla già citata porpora, usa il viola, lo scarlatto e l’oro. I presenti, che fino a poco prima era convinti di trovarsi davanti ad un bravissimo artigiano, iniziano a rendersi conto che dietro Chiara Vigo c’è molto di più di una – già di per sé encomiabile – carriera quarantennale di tessitura. È l’erede di una conoscenza così lontana dai nostri tempi da apparire quasi come originaria di un altro mondo. Come qualcuno dirà poco dopo, commentando l’esperienza “è bello che esista un posto nel quale è possibile, per qualche momento, credere che la magia esista davvero”

Il clima magico raggiunge il suo apice quando si arriva alla vera e propria trasformazione del bisso in quello che viene definito “oro in luce”. Il filato di prima viene inserito in una boccetta contenente una mistura di 15 differenti alghe e succo di limone e di cedro. Il Maestro utilizza quindi la sua voce, emettendo dentro il recipiente di vetro una nota acuta e fissa. Per qualche secondo il tempo pare fermarsi e tutti restano lì, in attesa che accada qualcosa. “Fatto” esclama rialzando lo sguardo verso i presenti e sorridendo delle loro facce perplesse.

Il filo, dopo il trattamento, una volta posto sotto i raggi del sole sembra a tutti gli effetti essersi trasformato in oro. “Quando nella Bibbia si dice che le vesti di Salomone, nell’uscire dal tempio, si tramutavano in oro, si fa riferimento al bisso. Vi immaginate quanto potrebbe pesare una veste interamente d’oro?”. Il bisso, invece, stupisce per la sua incredibile leggerezza. Il Maestro mostra un piccolo manufatto, dalla straordinaria complessità di intreccio, anch’esso trattato al medesimo modo del filo, che oltre a stupire per la magnificenza del suo colore quando toccato dai raggi solari, incanta per la quasi totale impercettibilità. “Il bisso non ha peso e non ha tatto” afferma varie volte, mentre fa passare il prezioso lavoro tra le mani dei presenti.
Si sarebbe veramente tentati di parlare di magia, se non vi fosse una spiegazione prontamente esposta per ogni tecnica mostrata. Il motivo del suono nel barattolo è infatti di natura prettamente chimica. Le onde sonore permettono alla miscela di creare una reazione chimica tale da agire sulla struttura cheratinica del filo di bisso, creando così quel famosissimo filo d’oro che tanto incanta. Alla perizia tecnica, al bagaglio della tradizione, si unisce quindi una grande cultura ben ancorata nel presente e nella scienza. La definizione di “Maestro” si fa progressivamente meno confusa.

Molte persone vengono a Sant’Antioco a posta per ammirare l’arte della Vigo. Nei nostri giorni a contatto con questa realtà parliamo infatti con visitatori provenienti da tutta la penisola, giunte lì attirate da un servizio TV, da un articolo di giornale o dalla visione del film “Il filo dell’acqua” di Rosanna Cingolani. Dei visitatori ci dicono di venire sull’isola quasi ogni anno da 12 anni e di non perdere mai l’occasione di passare un po’ di tempo con il Maestro. Chi invece entra per pura casualità, ad esempio per ripararsi da un’improvvisa pioggia, non impiega molto a trovarsi a suo agio. Ciò è facilmente comprensibile alla luce del clima famigliare che si respira all’interno della stanza. Simili esperienze sono rintracciabili parlando con le persone che le stanno accanto. Alcuni locali entrano ed escono, si siedono qualche minuto, raccontano gli ultimi avvenimenti di famiglia, i rientri e le partenze, commentano il caldo ed il numero di turisti o semplicemente porgono il loro saluto a quello che è a tutti gli effetti un pilastro della comunità locale. In questi continui scambi, si apre finalmente la vera natura dell’arte del Maestro del bisso: “La pratica, ciò che mostro, è il punto di avvio verso la tessitura vera e propria. È necessario che si tessano rapporti umani, relazioni. Mi auguro che un giorno possano esserci 1000 stanze come la mia, in ogni paese. Luoghi dove la gente possa incontrarsi senza il presupposto dello scambio economico. Forse allora potremmo vedere la pace”. Nonostante il suo sogno sia ben lontano da realizzarsi, trova già un piccolo grande compimento nella sua stanza.

Il Museo però si muove con il Maestro. Il 23 agosto è ad Orgosolo, a presentare e donare alle donne del luogo un’opera a loro dedicata. È vestita di un abito dalla foggia quasi orientale, che rimanda nuovamente la fantasia a tempi antichissimi. Neanche a dirlo, è decorato da uno straordinario intreccio in bisso.
Anche in quest’occasione apparentemente più formale, alla quale sono naturalmente presenti varie autorità, si assiste allo stesso fenomeno descritto nel suo spazio di lavoro. L’attenzione dei presenti viene quasi ipnotizzata e per qualche ora anche l’Auditorium del paese entra a far parte di quel mondo fuori dal tempo di cui Chiara è custode.

Tutto questo rischia però di finire, potremmo dire senza smentita, per l’ennesima volta. L’attuale collocazione dello spazio del Maestro è infatti un ripiego. La piccola stanza è diventata il rifugio, in affitto, di questo enorme patrimonio a seguito della chiusura del Museo del bisso, collocato nei locali di Monte Granatico fino al 2016. “Il Museo aveva 100 posti a sedere e 38 vetrine, oltre alla mia disponibilità quotidiana ad essere lì ogni giorno” ci racconta il Maestro puntualizzando che “un Museo non ha senso di esistere senza un Maestro all’interno”.
Un luogo di grande successo, con circa 40.000 presenze annuali. Anche quest’esperienza potrebbe presto giungere al termine, infatti, se non verranno raccolti i fondi necessari all’acquisto del locale, dal 30 ottobre 2019, la porta su questo millenario patrimonio potrebbe chiudersi per sempre.
“Mi rifiuto di mettere il biglietto di ingresso. Tutto questo è di tutti e così deve restare. La cultura non si vende” afferma con risolutezza. “Se qualcuno vuole offrire il suo aiuto, sono ben contenta di riceverlo. Qui c’è una cassettina per le offerte ed un quaderno delle dediche ma devono essere le persone a decidere che vogliono questo luogo aperto. Io ho tutto in testa, posso continuare al chiuso della mia casa e lì, se verrà il momento, potrò passare le mie conoscenze a mia nipote”.

Quello che potrebbe sembrare un discorso a senso unico, radicale nella sua testardaggine, è facilmente comprensibile alla luce degli anni di lotte e di speranze frustrate che il Maestro ed i suoi ragazzi, come chiama affettuosamente i membri dell’associazione “Il Filo dell’Acqua” hanno combattuto nel corso degli anni. Proprio nel parlare con loro ci si accorge di quanto questa stanchezza sia forte, di quanto il sentimento di abbandono da parte delle istituzioni e della comunità possa pesare sulle loro spalle. Sorge spontaneo chiedere al Maestro come i numerosi riconoscimenti non le abbiano portato il patrocinio di nessun organo e la risposta arriva senza giri di parole: “Non sono catalogabile. Non sono in vendita. Non è possibile schedarmi o catalogarmi. Se verrà il momento di chiudere però, chiederò conto di tutti i riconoscimenti ottenuti in questi anni. Che valore avevano? ;e li han dati forse perché sono carina? Molti anni fa, probabilmente”. Il gusto per il motto di spirito non l’abbandona neanche in questi momenti.
Questo mondo fuori dal mondo, fuori dalle regole del commercio e dall’ossessione della catalogazione, questo telaio dove i fili dei rapporti umani possono intrecciarsi senza il pretesto dell’acquisto, potrebbe scomparire in poche settimane ed a rimetterci saranno soprattutto le nuove generazioni, i bambini, i nipoti spesso citati.

Le insenature rocciose di Cala della Signora vengono bagnate dalla luce del tramonto. Il luogo, spettacolare nonostante
l’inciviltà di molti visitatori che parcheggiano indiscriminatamente senza curarsi della natura circostante, ha un grandissimo valore
affettivo per Chiara Vigo, che qui compì il suo giuramento di Maestro. Tessere il filo dell’acqua e pregare per gli uomini.
Proprio in questa meraviglia naturale, al di sopra di un promontorio che domina sul mare calmo, offrendoci gentilmente il suo
tempo, ci permette di assistere ad una sua preghiera, nella quale ritornano fortissime le suggestioni semitiche già avvertite durante la
tessitura. “Adesso inizierò la preghiera e non potrete interrompermi finché non avrò terminato. Passatemi pure intorno, ma non
interrompete”. I movimenti precisi, la preghiera cantata, gli occhi chiusi, rivolti verso il mare. Tessere e pregare. Due attività sulla
carta così lontane sembrano essere un’unica grande azione, parte di un’unica grande missione trasmessa nei secoli e giunta fino a lei.
Si chiude un cerchio o, per meglio dire, si apre un mondo.

Saliti in macchina, dopo aver ringraziato il Maestro ed i suoi ragazzi ed esserci scambiati i saluti, le nostre teste sono piene di nuovi fili, meno tangibili del bisso ma altrettanto preziosi. Questo telaio non merita di finire in soffitta

Da un’idea di
Michele Piras

Produzione
EL Studio

Fotografie di
Michele Piras

Articolo di
Giulio Serra